Sanificazione e disinfezione degli ambienti di lavoro: è un obbligo o una scelta?

Disinfettare e sanificare gli ambienti lavorativi, quali sono le regole da seguire.

La tempesta di notizie a cui siamo sottoposti in questa emergenza sanitaria, che diventa sempre più anche emergenza economica, rischia di far trascurare alcuni aspetti importanti che possono innescare pericolose conseguenze economiche, e, se non attentamente valutate e interpretate, importanti responsabilità. È il caso, ad esempio, delle misure previste dal protocollo d’intesa siglato tra il Governo e i sindacati il 14 marzo 2020, relativo alla tutela dei dipendenti, per il contrasto alla diffusione di Covid 19 (coronavirus).


Tale protocollo riguarda certamente anche gli studi professionali e le aziende non interessate dai provvedimenti di chiusura disposti dai DPCM e dal Decreto MISE, ma, a nostro avviso, interessa indirettamente anche quelle oggi sospese per legge, ma che dovranno riaprire al termine dell’attuale emergenza anche se, com’è prevedibile, ciò avverrà scaglioni temporali.
Nel suddetto protocollo, infatti, oltre all’obbligo di adozione dei Dispositivi di Protezione Individuale (mascherine, guanti, visiere, ecc..), nel punto 4 si afferma che: “l’azienda assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago”.
Da come è formulato tale articolo, in cui si dice che “l’azienda assicura” e, con essa per analogia, il Professionista, non sembrano esserci dubbi circa la natura di OBBLIGO e non di scelta a cui è sottoposto l’imprenditore o il professionista tenuto a garantire la “sanificazione periodica dei locali, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago”.
Se il contravvenire a tale obbligo, come affermato da autorevoli autori, in caso di sinistro, esporrebbe le ditte a negative conseguenze che potrebbero comportare anche la rivalsa da parte dell’INAIL o l’inefficacia di eventuali polizze assicurative contratte a favore del personale dipendente, ciò potrebbe verificarsi anche per le ditte che alla riapertura non provvedessero ad adeguarsi a tale dettame senza aver effettuato la suddetta “sanificazione”.
Cosa succederebbe se alla ripresa dell’attività, considerando che il virus non sarà debellato ma dovremo invece abituarci a convivere con esso, si registrassero uno o più casi di contagio e, alle successive verifiche, non si dimostrasse che è stata eseguita la prescritta “sanificazione”?
In merito alla sanificazione, è opportuno specificare che per essa non deve intendersi la classica pulizia, anch’essa richiesta con cadenza giornaliera, ma qualcosa di più approfondito e svolto da ditte specializzate in tale servizio. Per l’emergenza COVID-19, ad esempio, è stata emanata dal Ministero della Salute la circolare 5443 del 22/02/2020 che prevede il caso di pulizia (non viene utilizzato il termine “sanificazione”) di ambienti non sanitari ove abbiano soggiornato casi confermati di COVID-19. La circolare prevede che tali operazioni siano eseguite da imprese autorizzate ai sensi del D.M. 274/1997, (che all’art. 1 lett. e definisce gli interventi di sanificazione) che utilizzino personale dotato di tutti i DPI e che seguano precise norme nello svolgimento del servizio di pulizia (utilizzo di mascherine FFP2 o FFP3, del camice monouso, di precise norme sulla svestizione, ecc.) e nello smaltimento dei DPI monouso come materiale potenzialmente contaminato. Al termine dell’intervento, tali imprese, devono rilasciare apposita certificazione riguardante l’avvenuto intervento, in conformità alle disposizioni in vigore.
Tale certificazione, infine, costituisce documento valido sia in sede di verifica e controllo da parte degli enti preposti che nel caso di contenzioso, sia per documentare la spesa sostenuta al fine del riconoscimento del credito di imposta pari al 50% delle medesime spese.
Credito d’imposta di cui, ai sensi dell’art. 64 D.L. 18/2020, è possibile usufruire fino ad un massimo di 20.000 euro per impresa/studio, nel limite complessivo massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2020. Tale credito è stato esteso, dall’art. 30 D.L. 23/2020, anche all’acquisto di attrezzature e dispositivi di protezione individuale e altri dispositivi di sicurezza atti a proteggere i lavoratori volte ad evitare il contagio del virus sempre nei limiti suddetti.